Non si puo’ parlare di Lampedusa

Mi trovo a Lampedusa solo da qualche giorno. Mi rendo conto che troppo ci sarebbe da scrivere su quest’isola. Non basterebbero interi volumi per descrivere la vita dei Lampedusani e di come, dagli inizi degli anni 90, si è intrecciata con quella di migliaia di anime.

Ho conosciuto persone straordinarie. Persone che dedicano le loro energie e le loro giornate alla tutela dei più vulnerabili e fanno tutto ciò per solidarietà e umanità. L’umanità simbolizzata dalla Porta sul Mediterraneo (foto1), porta su una vita nuova, sui pari diritti e sulla fratellanza tra i popoli. La porta diventa simbolo di Lampedusa, di quest’isola che è uno scoglio. Uno scoglio di 20 km quadrati che si trova nel mezzo del canale di Sicilia. Precisamente, a 80 miglia dalle Coste Africane e 135 da quelle siciliane. Nessuno nasce a Lampedusa. I parti avvengono a Palermo o presso altri ospedali dell’isola madre. Lampedusa, per approvvigionarsi, deve attendere la nave carica di provviste proveniente dalla Sicilia. Senza la nave, in pochi giorni i supermercati sarebbero vuoti e le macchine senza benzina. Di conseguenza, l’isola potrebbe sembrare, agli occhi dei più superficiali, un animale lento ed incapace di affrontare ritmi di vita incalzanti. In realtà, Lampedusa è perfetta, è un micro – universo indipendente circondato dal Mediterraneo.

Il Mediterraneo…

Chi ha avuto la fortuna di nascere o crescere sulle sue coste sa cosa significa. Quando vivevo in Nord Europa, i locali usavano chiamarmi “the Mediterranean girl” per distinguermi dalle ragazze, mie colleghe, provenienti da altri posti del mondo. Vivere il Mediterraneo cambia i connotati fisici, è segno di appartenenza, è genetica, il Mediterraneo, come tutto il Sud, si trova nel DNA.

Pietro Bartolo, stamattina, parlava proprio di DNA per raccontare di Lampedusa. Pietro Bartolo è un dono del Signore, un uomo unico. Il Dott. Bartolo è il Responsabile del Presidio Sanitario di Lampedusa. Da 25 anni si occupa della salute dei migranti: salva coloro che vengono intercettati oggi in mare aperto dal progetto di recupero migranti europeo Frontex, ma era presente soprattutto quando avvenivano i veri e propri sbarchi sull’Isola al termine di estenuanti giorni di navigazione. Con il suo fare pacato mi dice: “i lampedusani non hanno mai protestato per ciò che stava avvenendo alla loro isola e alle proprie vite. E’ nel DNA di chi vive al mare”.

L’uomo che cade in mare si deve salvare. Non ci sono alternative, scelte politiche o strategie sociali. Pietro ha recuperato e curato migliaia di donne, bambini ed adulti fino al punto di perdere il proprio sonno. Diventa un eroe per aver dimostrato un’umanità che dovrebbe appartenere a tutti noi. Parla del suo lavoro con le lacrime agli occhi, con un tono di voce basso, come se non volesse disturbare il sonno di chi non ce l’ha fatta. Pietro dice di essere un medico e di svolgere solo il suo lavoro. Come lui, anche i pescatori, intenti a svolgere le loro attività notturne, girano il timone e raggiungono le imbarcazioni provenienti dalla Libya o dalla Tunisia. Smettono di pescare, chiamano i soccorsi e fanno ciò che possono. Spesso si trovano a raccogliere dalle acque corpi senza vita, altre volte riescono a portare a riva i sopravvissuti dei naufragi.

Scrivere di Lampedusa non è semplice:

Non puoi raccontare di questa isola senza raccontare cosa sia la Patologia dei gommoni. E’ una patologia che colpisce prevalentemente le donne. E’ una patologia che si verifica durante la traversata e provoca ustioni dolorose e pericolosissime. I motori delle imbarcazioni si rompono, esce la benzina e si mischia all’acqua di mare. Si crea una miscela ustionante che bagna i vestiti di coloro che si trovano al centro dell’imbarcazione. E chi viene posto al centro? I più fragili, coloro che hanno bisogno di essere protetti dalle onde del mare e dalla sua forza: le donne ed i bambini. Centinaia di donne giungono a riva quasi completamente bruciate. I medici e i soccorritori le spogliano immediatamente e le coprono con teli puliti. Le ustioni sono permanenti e il ricordo del loro dolore è indelebile.

Non si può parlare di Lampedusa senza menzionare i ragazzi di Mediterranean Hope che organizzano corridori umanitari per far giungere i migranti in salvo da varie parti del mondo. Sono volontari e professionisti che si occupano di tanti aspetti, dal più semplice come il fornire punti internet for free ai ragazzi appena giunti sull’isola, ai più complessi come organizzare campi di volontariato per chiunque volesse partecipare ai loro progetti.

Non si può scrivere di Lampedusa senza raccontare del naufragio del 3 Ottobre 2013. Furono 368 i morti, tra questi una donna incinta. Muore annegata, l’asfissia le causa le contrazioni, muore in mare dando alla vita suo figlio. Pietro decide di non separarli, li lascia legati dal cordone ombelicale e li depone in una cassa bianca.

Non si può parlare di Lampedusa senza parlare di un gruppo di volontari che, a dispetto dei vari dinieghi ricevuti dalle autorità, durante i momenti di emergenza, raggiungono il molo Favaloro, dove le navi dei migranti attraccano, e porta i beni di prima necessità ai ragazzi.

Non si può non raccontare dell’hot spot. Un centro di smistamento, solo 72 ore di permanenza, il sistema di raccolta dati, finger print e registrazione e poi via, per altre città di Italia a proseguire il percorso di accoglienza.

Le 72 ore diventano spesso 3 mesi. Non c’è televisione, nessuna comodità o divani su cui appoggiarsi. Ci sono solo stanze enormi con letti a castello perché, ufficialmente, non si tratta di un centro di accoglienza, ma solo di registrazione dati.

Non si può parlare di Lampedusa senza raccontare che da questo hot spot non si può uscire, ci sono le guardie e stop. I ragazzi, però, hanno aperto un varco nella recinzione dalla quale escono ed entrano. Entrano nella società da un buco, come indegni, assassini, serie B dell’umanità, di soppiatto come i ladri. Non è riconosciuta loro neanche la dignità di uscire dalla porta per fare una passeggiata nella via principale dell’isola, via Roma.

Lampedusa è anche centri di accoglienza dati alle fiamme per le condizioni di vita indegne. Sembra che tutte le volte i ragazzi siano chiusi nei centri, questi prendono fuoco. E allora giunge naturale pensare che il costruire muri non possa e non debba essere la soluzione.

Non puoi parlare di Lampedusa, senza sentire dentro il Mediterraneo e ciò che questo mare si porta appresso e, soprattutto, senza raccontare della sua umanità.

Non si può non dire che dopo la Primavera Araba i lampedusani si sono trovati 10.000 migranti sull’isola senza sapere dove accoglierli. Il centro di accoglienza del tempo, a causa di una decisione del Ministero degli Interni, era momentaneamente chiuso. La popolazione locale vanta circa 6000 anime. Allora non puoi non raccontare dei cellulari dei ragazzi ricaricati nelle abitazioni private, dei fili che si vedono uscire dalle finestre e dei panini preparati dai locali e distribuiti gratuitamente. “ Cose normali, che tutti avremmo fatto di fronte ad una situazione così delicata”. Questo, ti dicono i lampedusani.

Allora non puoi parlare di Lampedusa senza sentire l’impulso, crescente e primordiale, di fare parte del modello di umanità che essa simbolizza.

Mediterranean Hope: http://www.mediterraneanhope.com/contatti