Il diritto al dolore

C’era una volta una famiglia di migranti provenienti dall’Africa: uomo e donna. Donna e uomo ce la mettono tutta per abituarsi ad un nuovo Paese: nuove abitudini, nuove regole, la spazzatura differenziata in specifici giorni, la televisione a basso volume nelle ore del riposo, gli sguardi incrociati in piazza, la difficoltà di farsi capire, “scendi dal quel motorino che non è il tuo, non ti ci puoi mica sedere sopra così, a gratis”, ma donna e uomo sono in gamba e ce la mettono tutta.

Un giorno uomo riceve una telefonata dalla lontana Africa: sua mamma è stata molto male ed è morta. Profondo dolore perché uomo è lontano e non ha potuto fare niente per aiutarla, non ha potuto salutarla o baciarla per l’ultima volta. A casa di donna e uomo, dunque, inizia un rito africano per esprimere il dolore: piangono, si dimenano, cadono per terra, urlano il nome della defunta e si autoinfliggono ematomi. Donna e uomo hanno bisogno di condividere il dolore fisico con la defunta, di mettersi nei suoi panni, soffrire quanto ha sofferto lei, tutto pur di starle vicino. Il momento è surreale, ma solo agli occhi occidentali. In Africa, invece, è solo lutto ed elaborazione di un dolore immane. Dolore e lutto si rispettano, a dispetto di religione e nazionalità.

Questo, almeno, era quello che si pensava:

donna e uomo forse sono stati troppo rumorosi, hanno turbato orecchie molto delicate, orecchie frettolose a giungere a conclusioni affrettate. Queste orecchie che fanno? Sentono i rumori, le urla, “oddio si stanno picchiando, corri corri chiama i Carabinieri”.

Uomo e donna non capiscono, piangono e sono a terra senza la forza neanche di alzarsi a rispondere al citofono. “Uomo, per favore, apri la porta!!”. Finalmente uomo apre la porta e il suo volto toglie subito qualsiasi dubbio. Non è violenza, non è un marito che alza le mani sulla moglie: “ma scusate, è mia moglie, l’ho sposata, perché dovrei picchiarla?”, dice uomo. Era tradizione, era cultura, era differenza, erano lacrime per un dolore profondo come il mare che li ha allontanati dai cari, dalla famiglia.

Alla fine di una difficile giornata, si è imparato qualcosa. Si è imparato che ci sono orecchie e non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire, si è imparato che il dolore può assumere varie forme e suoni e si è imparato ad essere grati per un insegnamento di vita ricevuto durante un normale giorno feriale da un semplice uomo e da una semplice donna.